I compromessi di Apple e di Google

di alex il 2 Gennaio 2010

Di Apple che rimuove l’App del Dalai Lama in Cina hanno scritto tanti, meno nota la scelta di Google di togliere un gruppo Orkut in India. Le multinazionali, per aumentare i propri profitti o sostenere un’espansione futura, fanno compromessi che dovrebbero contrastare con i loro decantati valori aziendali. Sono compromessi accettabili? Secondo alcuni sì, persino “etici” perché sostengono le sorti dell’azienda e dei loro lavoratori. Ma è una moralità che non condivido. L’etica di un’azienda si giudica non solo dai fini presunti (“cambiare la Cina dall’interno” e nel frattempo goderne i frutti?), ma anche (soprattutto?) dai mezzi messi in campo. Che è un po’ la differenza tra parole e fatti, rispettivamente.

Ecco perché io, con altri e altri ancora consideriamo inaccettabili quei compromessi. Rinunciando oggi ai valori su cui vorremmo fondare il nostro futuro, non prepariamo la loro riscossa domani, ma ne acceleriamo la scomparsa.

{ 10 commenti }

g.g. Gennaio 2, 2010 alle 15:11

E’ facile considerare inaccettabile qualcosa quando non ha si ha necessità di prendere una decisione non avendo un’alternativa. Che alternativa avresti scelto? Lasciare la Cina? Fare un auto-embargo unilaterale contro uno dei mercati più grandi del mondo?

Io resto dell’idea che certe scelte vadano fatte con strategie di lungo periodo e non seguendo emozioni di breve

alessandro longo Gennaio 2, 2010 alle 15:17

non è un’emozione di breve, ma sono principi. Apple aveva l’alternativa di non entrare in Cina (non sarebbe fallita per questo) oppure di entrare ma di smettere di raccontarcela con il “think different”, non ha fatto niente di tutto questo

g.g. Gennaio 2, 2010 alle 15:22

Un po’ di realismo non guasta, Ale. Apple è un’azienda, non possiamo aspettarci (nè è sensato farlo) che prenda posizioni che non prendono l’economia mondiale e i governi mondiali. E Apple non è l’unica azienda, in un mondo globale, che sta sul mercato cinese: tutti vendono sul mercato cinese. E’ un problema complesso, in cui ci sono piani differenti di valutazione. Li sintetizza bene Cataldo: “io credo che il discorso sia fondamentalmente riconducibile a un piccolo “insignificante” particolare che tutti tralasciano sempre. In Cina ci sono delle leggi che impongono determinate censure. Possiamo tutti indignarci (lo siamo e a ragione) di queste leggi ma due sono le alternative: 1) Se vuoi vendere in Cina DEVI rispettare la loro legge; 2) Non vendi in Cina. Non è tutelata da nessun orientamento giuridico in nessun posto del mondo la facoltà di seguire solo le leggi che riteniamo giuste. Discorso a parte, poi, merita il fatto che servirebbe una pressione internazionale verso la Cina e altre nazioni che promulgano leggi illiberali come questa ma non è di certo un’azienda privata che si deve fare carico di questo genere di affari, bensì i governi (che purtroppo si guardano bene dal farlo, ma questo è un altro problema, ancora”

g.g. Gennaio 2, 2010 alle 15:25

e poi: lasciare il mercato cinese per un’applicazione sul Dalai Lama? Avrei capito per qualcosa di serio..in grado di roversciare un ordine costituito o di cambiare le cose.. Ma così ci vedo, come dire, un po’ di sproporzione irrazionale

alessandro longo Gennaio 2, 2010 alle 17:45

Sì, lo so, ci sembra assurdo lasciare un mercato fiorente solo per una questione di principi…le ragioni del profitto coincidono con la realtà, eppure non deve andare per forza così

Luciano Giustini Gennaio 3, 2010 alle 0:45

Intervengo per sottolineare che anche per me il discorso di Alessandro Longo è più convincente della realpolitik prospettata da Granieri. Il fatto che i governi non riescano ad incidere minimamente sulla scandalosa politica di Cina ed altri paesi di tipo comunista, non significa naturalmente che debbano essere le aziende a farlo, ma evidentemente è vero anche che se anche le aziende che possono dare un segno rinunciano a farlo a priori si può parlare di collusione ideologica, senza nessun patema d’animo. Anzi, la cosa è aggravata dallo strapotere del mercato: il mercato è proprio ciò su cui questi governi si appoggiano per espandere la loro ideologia. Ed è infatti il mercato che li premia. Insomma, la partita alla fine si basa sulle economie, che spesso nel mondo moderno sostituiscono la politica. In questo caso, tutti e due si piegano alla logica cinese. Complimenti.

Net Flier Gennaio 3, 2010 alle 11:28

voi viete di buoni propositi e belle speranze o la rata alla fine del mese la pagate con i soldi?

alessandro longo Gennaio 3, 2010 alle 11:38

Con soldi ma senza alienare i diritti universali dell’uomo

Net Flier Gennaio 3, 2010 alle 22:55

non è che apple tolga fiato alle persone perché manca un sw sul dalai lama..che diamine..penso che si stia eccedendo nella visione globale del problema..
i giornali controllati dal regime in italia erano un problema, grave, ma ben più grave era l’olio di ricino od i giovani moschetti..
io sono per ponderare diversamente i vari problemi che affliggono queste società..a shanghai non si vede mai il sole, altro che mancare le applicazioni sull’iphone..

figlio del troll Gennaio 26, 2010 alle 9:04

affondiamo la cina e tutti i cinesi…. niente iphone al cinese e niente google map ecco!

I commenti per questo articolo sono stati chiusi.

{ 2 trackback }

Articolo precedente:

Articolo successivo: