Google e la neutralità della rete

di alex il 16 Dicembre 2008

Giornali e blogosfera internazionale sono in fermento dopo la notizia del WSJ, qui ripresa e interpretata da Repubblica. La tesi è che Google sta ripudiando la neutralità della rete perché, tramite un sistema di caching posto presso gli operatori, vuole velocizzare il proprio servizio.

Molti blog americani e italiani hanno criticato questa tesi.

Per dare un ordine al dibattito, come insegnavano i socratici, bisogna per prima cosa definire l’oggetto, perché mi sa che stiamo parlando di cose diverse.

La neutralità della rete, in senso assoluto, non esiste: pratiche inevitabili di qos dei provider e il semplice fatto che chi ha più soldi ha server migliori impediscono di avere una internet neutrale dove tutti i soggetti/siti/server su internet siano davvero parificati dal punto di vista della velocità di fruizione dei loro contenuti da parte del loro pubblico.

Il progetto di Google senza dubbio altera la net neutrality così intesa e fin qui nessuna sorpresa. Aggiungo però un tassello, che giustifica che se ne parli e che Repubblica getti il sasso nello stagno. Perché solo parlandone si può combattere il rischio di una deriva, che il caching porta con sé potenzialmente spostando troppo il potere nelle mani dei big come Google. Liquidare il tutto come una bufala è troppo frettoloso

Questa pratica di caching potrebbe alterare la neutralità in modo più sostanziale rispetto alle pratiche usate finora. Va nella direzione di rendere sistematica ed estesa a tutti coloro che se lo possono permettere una pratica che finora era di un business specifico, quello delle content delivery network di Akamai e, di recente, di Amazon. Se la potenza di fuoco di un fornitore di servizi è stata finora riposta nei server messi in casa sua, ora sale di un gradino, avvicinandosi alla rete dei provider, dove fare caching. Finora è stato fatto per i contenuti pesanti, quelli tv soprattutto, nelle content delivery network; la mossa di Google fa pensare che questo diventerà sistema.

Tra le righe della stessa di Google al WSJ, infatti, si legge che questa pratica è un salto o passo in avanti. Perché Google conferma che non l’aveva mai fatto prima. E se un colosso come Google ha indugiato finora a farlo, significa che la decisione presa ora ha il sapore di una svolta. A maggior ragione perché Google certo sa che sta dando l’avvio a una corsa al caching e a polemiche.

Siamo d’accordo che questa pratica è comunque diversa da quanto è comunemente inteso come “violazione della net neutrality”. Quella cioè che alcuni operatori vorrebbero fare, alterando il traffico per favorire chi paga di più o i contenuti degli stessi operatori. La differenza è sostanziale. Il caching potrebbe essere un business aperto alle leggi della domanda e dell’offerta. Quello che vogliono fare alcuni operatori è un ricatto, fatto sfruttando la propria posizione di gestori della rete.

Non è che Google abbia cambiato la propria posizione sulla neutralità della rete. Non è che prima era buono e ora è cattivo. Ha sempre fatto i propri interessi. Si è sempre opposto a quell’altro tipo di violazione della neutralità, quello dove sono gli operatori a tenere la leva e a fare il bello e cattivo tempo. Diverso è se è Google a tenere le redini. Diverso ancora- e sarebbe lo scenario migliore, per cui vale la pena battersi contro derive che lo Stesso Google potrebbe incarnare- se c’è un’offerta aperta a tutti, dove chi se lo può permettere acquista un servizio migliore.
Anche quest’ultimo scenario è una violazione della neutralità? Sì, ma a differenza di quella voluta da alcuni operatori è nel destino della rete, non va combattuta ideologicamente come minaccia alla fertilità di Internet. Si può solo spingere perché questo del caching sia un business aperto come quello dell’hosting o dell’acquisto di server più potenti. A quelle condizioni, chi avrà l’idea rivoluzionaria potrà pagarsi il caching, come già ora si paga i server per sostenerla: con i soldi dei venture, gli stessi usati da Google agli albori

Questo comunque avrà un impatto, aumenterà una tendenza già in atto e che consente ai grandi di raggiungere meglio i propri utenti. Questo boicotterà l’innovazione, perché un nuovo motore di ricerca non potrà rivaleggiare con Google, non potendo comprare caching? E’ presto per dirlo, molto dipende dall’apertura di quel business e della sua soglia d’ingresso. Se sarà alla portata solo di poche tasche, sarà sì una barriera ai nuovi entranti. Altrimenti, sarà solo un costo in più che potrebbe entrare nell’investimetno che i venture fanno per sostenere le start-up

Ma perché sorprendersi? Che Google-don’t be-evil voglia tutelare i propri interessi cercando di investire per proteggere la propria posizione dominante acquisita? E’ la legge di mercato, ingenuo sarebbe pensare che Google possa rinunciare a trasformare denaro in vantaggio competitivo.

{ 5 commenti }

Fabio Metitieri Dicembre 18, 2008 alle 15:23

A richiesta, riporto un breve scambio di opinioni tra Longo e me, fatto via mail poco fa:

Io ho commentato cosi’ questo post:

Un intervento molto equilibrato, ma con cui non concordo
del tutto.

OK, facciamo un esempio ipotetico-concreto. Alice (provider) ha un servizio di film on demand (Rosso Alice?). Ovviamente i film sono sui suoi server. Per cui se hai la connessione Alice, li vedi o li scarichi benissimo. Tutti gli altri servizi video, da YouTube in su, no. Anche se Alice e’ disposta a vendere del caching a chiunque altro, non so quanti lo comprerebbero….

Io in situazioni di questo tipo, che peraltro secondo me si stanno gia’ verificando, vedo qualcosa di molto simile a un walled garden, dove ciascun Isp vende i suoi contenuti (o i contenuti di un partner) fornendoli meglio di quelli degli altri; anche senza fare shaping per indirizzo.

Aggiungici che sopra questo un po’ di shaping per protocollo puoi farlo, per cui, per esempio con la scusa che devi garantire la performance dei servizi che hanno bisogno di Qos, rallenti il traffico piu’ pesante (P2p e anche video, e lo si fa gia’ diffusamente, ed e’ considerato lecito), ma solo verso l’esterno della tue rete, perche’ ovviamente i tuoi contenuti, interni, non ti danno fastidio.

Insomma, se qualcuno vuole “barare” puo’ farlo tranquillamente, anche solo con il caching. E chi controlla il caching – come stara’ certamente pensando Google – ha in mano una notevole leva di potere, con cui influenzare gli altri content provider o con cui fare comunque un sacco di soldi.

E in una situazione dove i controlli sono difficili e la regolamentazione – a meno di fare processi alle intenzioni, come si diceva – e’ pressoche’ impossibile.

*****
Alessandro Longo rispose:
Molto chiaro. Però, i contenuti Telecom sono nei datacenter Telecom, collegati allo stesso backhauling metropolitano a cui
anche gli altri operatori possono collegarsi, a tariffe telecom oppure con fibra presa da altri (metroweb a milano). Se le tariffe telecom sono eque, non c’è discriminazione
*****

Io ho contro-risposto:

Se… si’, certo. Se.

Io vedo piu’ probabile, almeno tra i grandi Isp, ciascuno che si fara’ le proprie allenze con i content provider preferiti e che favorira’ solo quelli, i suoi. Comuque, e’ ancora presto per dirlo.

Questo per quanto riguarda i grandi. Per i dilettanti, gli user generated content, emergere sara’ piu’ difficile, a meno che non si usi la piattaforma di un grande attore.

Ciao, Fabio.
http://xoomer.alice.it/fabio.metitieri

Davide Baroncelli Dicembre 19, 2008 alle 0:52

Questi sono discorsi abbastanza condivisibili, ma c’e’ un punto che e’ fallato alla radice. Questo: “Questo boicotterà l’innovazione, perché un nuovo motore di ricerca non potrà rivaleggiare con Google, non potendo comprare caching?”

Allora: l’edge caching e la content delivery ***NON MIGLIORANO LE PERFORMANCE DELLA RICERCA***, ne’ di un servizio di mail, ne’ di un social network, ne’ di qualsiasi altro servizio applicativo/interattivo. Anche supponendo che Google facesse edge caching e Yahoo o Microsoft no (falso), il caching non migliorerebbe l’accesso di un utente alle proprie foto picasa rispetto a flickr, non renderebbe piu’ performante gmail di hotmail, non farebbe si’ che una ricerca google guadagnasse velocita’ rispetto a una su yahoo o msn search, non farebbe si’ che una pagina di contatti di Orkut arrivasse prima e piu’ in fretta di una pagina di facebook.

A me pare chiaro, il perche’, ma se c’e’ bisogno approfondisco: il motivo sta nel fatto che tutti questi servizi necessitano di elaborazione dati e di accesso a dati memorizzati in cluster distribuiti: i computer su cui quei dati sono memorizzati e quelli su cui vengono elaborati stanno nei datacenter di Google, e da li’ *non si muovono*, ne’ ora ne’ mai (cosi’ come quelli di microsoft stanno nei datacenter di microsoft, quelli di Yahoo nei suoi, ecc.

Quindi, qualsiasi servizio di ricerca, deve andare a pescare i dati nei cluster che stanno nei datacenter: piazzare una cache piu’ vicina agli utenti *N-O-N S-E-R-V-E* a migliorare le ricerche.

Quindi, non e’ l’edge caching, che puo’ aumentare l’eventuale barriera all’ingresso di un nuovo entrante in settori come:
– la ricerca
– la pubblicita’ online
– l’email online
– la gestione dei documenti online
– la comunicazione diretta come chat o videoconferenza
– il social networking
– il gaming online
– …qualsiasi altro servizio applicativo…

Quello che l’edge caching puo’ fare e’
1) ridurre la latenza nell’accesso ai contenuti statici, o in quelli dinamici che non dipendono da interattivita’ con un utente particolare (che so, previsioni del tempo, ecc.)
2) ridurre drasticamente la quantita’ di dati che circola da sorgente a destinazione per contenuti a cui accedono molti utenti finali, soprattutto se contemporaneamente (come ad esempio flussi video in streaming live).

“violazione della neutralita’” e’ una espressione forte, ad effetto, ma del tutto fuori luogo in questo caso: qui si tratta, ne’ piu’ ne’ meno, che dell’inevitabile applicazione di questioni architetturali che sono precondizioni perche’ certi servizi (tipo la distribuzione di tv via internet) siano possibili.

Poi e’ chiaro che tutti quelli che si sono sbilanciati e poi si sono accorti di avere esagerato abbiano poi corretto con “ok, ok, aspettate, ma ipotizziamo che… e se sotto ci fosse veramente… e se gli ISP facessero…”: ma questa arrampicata collettiva sugli specchi non cambia di una virgola quanto scritto sopra, e che ripeto:

L’edge caching *non determina disparita’ di performance sui servizi applicativi*, come la ricerca, come la posta, come il document processing, come il chat, come la videoconferenza, ecc.”

Quindi, e concludo, una domanda come “[l’edge caching]boicotterà l’innovazione, perché un nuovo motore di ricerca non potrà rivaleggiare con Google, non potendo comprare caching?” ha – se proprio si vuole considerarla sensata – una sola risposta sensata: no.

Massimo Dicembre 21, 2008 alle 14:48

interessante, Davide. Sei sicurissimo di quello che scrivi, vero?

io aggiungo che ANCHE SE non fosse vero – e non ho elementi o conoscenze per dirlo – un nuovo motore all’inizio sarebbe usato da pochi, quindi non avrebbe comunque bisogno di caching.

quindi, caching is NOT evil. Non più evil che comprare tanti server, aumentare la potenza di calcolo, evitare troppe immagini, avere sistemisti fighi e programmatori che fanno servizi leggeri e veloci.

una domanda, infine: e per il VoIP il caching serve o no?

Davide Baroncelli Dicembre 23, 2008 alle 1:34

Massimo, sicurissimo e’ una parola grossa: cerco di tirare le somme di quello che so. Detto questo non sono un retista, quindi certe cose mi sfuggono sicuramente.

Sul VOIP, a occhio e croce il caching non serve: avere un server vicino a te attraverso il quale passi un canale voce non aiuta a migliorare la comunicazione… a meno che tu non tolleri che il tuo interlocutore ti parli qualche minuto prima e dia il tempo alla cache di bufferizzare la voce!

alex Dicembre 23, 2008 alle 9:33

Il caching servirebbe solo per i video. Una volta che ti avvicini all’utente, però contratti con l’operatore una qualità di servizio end to end, cosa che non puoi fare né con Aakamai né con l’acquisto di tanti server.
Ma bisogna guardare oltre il caching. Questo è solo un tassello di una tendenza, che porta i fornitori di contenuti a negoziare con gli operatori un clear channel per i propri servizi e contenuti. Su questo concordano Nuti e Tripaldi, per chi li conosce…

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