Blog e lavoro

di alex il 21 Gennaio 2007

Sottoscrivo appieno le riflessioni su blog e lavoro del collega Dario Banfi, sul neonato blog . Il lavoro, fatta eccezione per noi giornalisti che di quanto facciamo parliamo anche troppo, è l’eterno taciuto della discussione online, eccetto quando diventa protesta contro il precariato. Il che dà alla discussione ancora una forma di parentesi hobbistica, o, per dirla con Dario, di “deriva favolistica”.

Perché la gente, nei blog, ama commentare quanto legge sui giornali e non ci fa invece partecipe delle cose che meglio conosce, per cui ha studiato e su cui lavora otto ore al giorno? Perché i blog italiani sembrano riflettere quasi sempre solo la dimensione del tempo libero di chi li cura? Sono tutti avvocati che si sentono scrittori mancati e si sfogano nei blog?

{ 12 commenti }

Pier Luigi Tolardo Gennaio 21, 2007 alle 19:51

Innanzitutto noi leggiamo tanto su Microsoft che licenzia blogger che rivelano segreti aziendali o impone una policy severa ai suoi dipendenti ma pensiamo forse che in Italia sarebbe diverso o meglio? Il caso dei 4 ferrovieri licenziati per aver collaborato con Report e riassunti dopo due anni di cause e scioperi nazionali molto partecipati non ci dice nulla? Chi dovrebbe rischiare, anche sotto il nickname, di parlare della propria azienda, fare critiche, anche costruttive a colleghi, ambiente, superiori, magari non il posto, ma magari i favori, il saluto, fare carriera, essere visto male, etc?
Quindi la separazione fra lavoro ed extra sui Blog è abbastanza normale e vale non solo per i dipendenti ma anche liberi professionisti e commercianti. Ad esempio c’è un blogger abbastanza noto (non faccio nomi) che ha un suo Blog privato da diversi anni in cui parla liberissimamente della sua grande passione culturale(il cinema), poi ne ha un altro in cui parla del suo lavoro, molto meno riuscito, non perché non dica cose interessanti ma perché in questo secondo caso è inevitabilmente paludato, contenuto, “ufficiale”, anche se non è un Blog aziendale.

Dario Gennaio 21, 2007 alle 22:18

Beh, Pier Luigi non esistono soltanto segreti nelle aziende e parlare di lavoro non equivale a lamentarsi.. Ti faccio un esempio: la critica ai dipendenti pubblici fannulloni o il dibattito sugli ospedali nato con il caso dell’Espresso. Leggo pochi post di persone che lavorano nella PA o in ospedali che vogliono ragionare pubblicamente su queste questioni (meritocrazia nella PA, salute pubblica e condizioni di lavoro ecc..). Eppure lì il posto non lo rischiano, anche se parlano male di Pietro Ichino.
Io credo che il lavoro sia un bellissimo tema che ognuno interpeta ogni giorno in maniera diversa e sarebbe veramente bello leggere contributi diversi, suggerimenti, esperienze, aspettative.. io credo nel dibattito pubblico su questo tema perché nonostante le difficoltà (carriere, diritti, retribuzioni ecc.) resta una delle questioni che tocca più nel vivo ogni cittadino..

Pier Luigi Tolardo Gennaio 22, 2007 alle 15:41

Nel Blog “personali” a volte il lavoro fa capolino: le delusioni,le paure, i rapporti soprattutto umani con colleghi e capi, perché credo che oggi per moltissime persone sia più importante la qualità umana dell’ambiente più ancora che la carriera, lo stipendio, il tipo di lavoro, insieme ovviamente al trovare il lavoro e a tenerlo(tema moltissimo prevalente nei Blog che comunque appartengono in gran parte ad una fascia 20-30 anni ossessionata dalla precarietà e instabilità o che, comunque, la vive male non come il valore che si decanta.
E’ il lavoro che è dunque marginale nei blog, perchè il problema è soprattutto stabilizzarlo, una volta stabilizzato sembra che per una generazione i problemi siano altri: l’amore, la coppia, gli hobbies, la politica.

Pier Luigi Tolardo Gennaio 22, 2007 alle 15:52

Insomma quando non sai per anni dove, cosa farai con chi sarai, e quanto guadagnerai il lavoro non è importante.

Francesco Giusto Gennaio 25, 2007 alle 15:23

Nel mio blog, aperto da pochissimo, cerco di far partecipe il lettore delle cose che meglio conosco, per cui ho studiato e su cui lavoro. Aperto a qualsiasi suggerimento vi invito cordialmente alla discussione.

Franz ( http://francescogiusto.blog.kataweb.it )

Fondo Milanese per la Protezione dell'Infanzia Aprile 27, 2007 alle 20:57

da http://domenico-schietti.blogspot.com/2007/04/fondo-milanese-per-la-protezione.html

Sembrerà una cazzata , ma l’energia positiva che genera l’investimento in un fondo etico solidale automaticamente retroalimenta la voglia di mettere in moto iniziative per ingrandire il fondo e con gli utili retribuire chi presta attività socialmente utili al servizio del genere umano, come chi presta servizi per la mia campagna 2010: Eliminazione Povertà, così come chi presterà servizi per il Festival Mondiale della Cultura Popolare e il Fondo Milanese per la Protezione dell’Infanzia.

Io pago tutti dal 1999 e non raccogliamo più monetine dal 1993.

Pago anche me, ho uno stipendio di oltre 500 euro al mese, affitto della casa pagato, più telefono, luce…

Nel frattempo tutte le altre organizzazioni di volontariato continuano a non pagare i propri dipendenti, e a dover raccogliere le monetine.

–Come si fa a diventare venditori del Fondo Milanese per l’Infanzia e diventare ricchi sconfiggendo la pedofilia costruendo giardinetti sicuri in tutto il mondo?

Devi andare sul sito di Banca Popolare Etica
http://www.bancaetica.com/contatti/default.php?carica=true&CDtipologie=FBA
e scrivere all’agente di zona o ad un qualsiasi sportello di Banca Popolare e spiegare che vuoi diventare venditore del Fondo Milanese per la Protezione dell’Infanzia

Teen Luglio 25, 2007 alle 13:58

akr5 Cmon stud she laughed the thought of what awaits us has got me wet already she turned me round and i dont know what happened no one has told me but the next thing i knew i was naked in the mirror. Ben had been forced to wear left strange criss cross patterns on my buttocks and i let out one final sc.

Flavio Cabrini Gennaio 11, 2008 alle 21:09

Flavio Cabrini ( Direttore tecnico Mind consulting Lombardia)
I tempi moderni spingono verso un modello di impresa che focalizza l’attenzione sui capitali “Intangibili” piuttosto che su quelli “Tangibili”; alla base di questo tipo di azienda ci sono gruppi di collaboratori estremamente motivati da leader che non ripongono la loro attenzione solo sull’operatività immediata di ogni singola persona ma sul coinvolgimento emotivo e relazionale dei propri collaboratori. Secondo Flavio Cabrini, la gestione di un gruppo di lavoro può essere classificata in tre differenti tipologie: depersonificazione, dominazione e relazione.
La prima categoria (depersonificazione) è messa in pratica dal manager convinto di essere in una “posizione superiore” e fa’ sì che alle sue dipendenze ci siano persone deboli, facili da controllare e da poter sottomettere. Agisce convinto di poter migliorare le persone evidenziando i loro difetti ottenendo, in realtà, un peggioramento generale dell’ambiente lavorativo. Nel secondo metodo (dominazione) il manager crea allarmismo per ottenere obbedienza. L’imposizione di regole ferree e l’attuazione di sanzioni per eventuali mancati adempimenti, provocano turbamenti nei collaboratori e conflitti all’interno dei gruppi di lavoro. Questo è il manager che cerca di imporsi in ogni modo e nella sua azienda diventa rilevante concentrarsi sulle emergenze piuttosto che interagire al meglio per sviluppare una struttura efficiente.
Il terzo metodo (relazione) per Flavio Cabrini è quello ideale. E’ in questo caso che il manager opera utilizzando la sua carica positiva, la creatività, l’esempio e la fiducia per migliorare chi gli sta intorno, indirizzandolo così verso un livello di azione costruttiva nel tempo. Questo modo di agire mira al successo e a mantenere uno stato d’animo positivo nei propri uomini senza perdere di vista gli interessi dell’azienda. Nell’impresa contemporanea è dunque vitale che operino dirigenti in grado di rifiutare “l’autorità fine a se stessa” in quanto, di fatto, riduce l’efficienza delle persone. Il manager o l’imprenditore del XXI secolo deve assolutamente diventare un leader capace di coinvolgere, emozionando, tutta la sua squadra! Il futuro è ormai chiaro: “il solo potere che avrà successo deriverà dalla ragione e dalla capacità di relazionarsi in modo costruttivo con i propri collaboratori”.

flavio Cabrini Febbraio 21, 2008 alle 12:22

In un mercato che continua ad evolvere e a crescere trasformando apparentemente il singolo individuo una sorta di pedina insignificante nella grande evoluzione degli scenari mondiali, ritorna, come un paradosso, la centralità della persona.

In una specie di strano parallelismo, il periodo che stiamo oggi attraversando trova molte similitudini con uno dei periodi storici più prosperi e fiorenti: il Rinascimento.

Il termine Rinascimento definisce quel periodo della civiltà e della cultura europea che segna l’inizio della civiltà moderna. Prende piede la concezione dell’uomo come forgiatore della propria storia “homo faber ipsius fortunae” (l’uomo è fabbro della propria sorte), con la quale gli scrittori del Rinascimento intendevano sottolineare il fatto che la prerogativa specifica dell’uomo consista nel forgiare se medesimo e il proprio destino nel mondo.

Il Rinascimento fu anche il periodo delle grandi invenzioni come la stampa a caratteri mobili, che aumentò notevolmente la quantità di libri in circolazione, aiutò a eliminare gli errori di trascrizione e trasformò lo sforzo intellettuale in un’attività di confronto e di scambio piuttosto che di studi solitari e isolati. Oppure la scoperta di nuovi territori, grazie alle imprese dei grandi navigatori che portarono all’intero mondo occidentale prodotti, costumi e conoscenze fino ad allora ignorate.

Ebbene, questi due esempi eclatanti e distintivi del periodo rinascimentale possono esse equiparati a quanto sta accadendo oggi. La stampa a caratteri mobili può essere paragonata al moderno mondo del Web dove Internet sta consentendo la comunicazione e l’interscambio di dati e informazioni dappertutto e con chiunque trasformando la cultura e la conoscenza in un processo collettivo. Le scoperte dei nuovi territori può facilmente essere assimilabile alla odierna trasformazione dei mercati con l’effetto conosciuto come Globalizzazione dove i prodotti, i servizi e le merci di scambio in genere attraversano paesi e continenti influenzando e cambiando le culture residenti.

In questo cambiamento costante e totale ci sono alcuni principi considerati irrinunciabili che si stanno oggi ribaltando completamente. Fino a poche decine di anni or sono le leve della crescita aziendale erano da considerarsi pressoché esclusivamente nelle mani dei soli imprenditori che, attraverso investimenti in termini di macchinari, stabilimenti e capitalizzazioni, determinavano la crescita e l’affermazione della loro azienda sul mercato. Le maestranze erano poco più che un mero strumento di questa logica economica. Oggi la scena è radicalmente mutata. L’inversione del principio si può dire sia completa. Le leve dell’efficienza, del cambiamento e dell’espansione aziendale sono ormai sempre più appannaggio dei collaboratori. Sono, infatti, sempre più le risorse umane in termini di competenze tecniche, di iniziativa, di creazione di alleanze e di rapporti relazionali a determinare il successo aziendale. Oggi, che è a contatto con i clienti, con i fornitori strategici, chi crea alleanze e sinergie detiene il controllo dell’espansione.

Ed ecco che l’imprenditore moderno deve rendersi conto che la partita si sta giocando sempre più su un campo che, fino ad oggi, non aveva mai calpestato. Un campo sul quale misurarsi su nuovi principi e su nuovi valori. Un nuovo campo è necessario quando inizia un nuovo gioco. Ed oggi il gioco diventa sempre più quello di sviluppare una nuova cultura di fare azienda e un nuovo sistema di gestione delle persone all’interno della azienda. Bisogna rendersi conto che questo è diventato un passaggio obbligato, non un opzione.

Mai come oggi all’interno di ogni azienda la passione delle persone, la loro spinta emotiva, può e deve essere trasformata in una grande opportunità di rinascita. Questo può succedere solo ponendo molta attenzione ai propri collaboratori, dedicando tempo alla formazione, alla motivazione e a riunioni per condividere le mete, gli obiettivi, le idee ed i successi ottenuti.

Il momento storico che stiamo vivendo è una grande opportunità.

Nel momento in cui un imprenditore comincia a lavorare con la giusta attenzione ai fattori della valorizzazione delle risorse umane e a cavalcare questo momento economico particolare, allora comincerà a scoprire la possibilità di creare collaboratori molto più fidelizzati alla propria azienda e alle proprie mete. Naturalmente non possiamo pensare che ogni collaboratore con il quale entreremo in contatto con questi sistemi o strumenti finirà prima o poi per divenire un uomo azienda di straordinaria importanza. Come il Rinascimento ci insegna, solo pochi divennero artisti e uomini di scienza e cultura di rilevanza mondiale. Ad onor del vero va detto che molti, moltissimi divennero bravi se non ottimi artisti rimanendo comunque figure comprimarie e di secondo piano. Eppure anch’essi hanno lasciato una traccia indelebile del loro passaggio. Un grande contributo alla trasformazione culturale. A loro va il plauso di aver creato qualcosa di unico e straordinario.

Non possiamo concludere senza dire che il Rinascimento fu una vera fucina di talenti poiché utilizzava un vero e proprio sistema di valorizzazione e di crescita nel quale le persone potevano imparare, sviluppare del proprio e accedere a quella parte della conoscenza che era solo possibile recuperare attraverso l’apprendistato a fianco di qualcuno di più bravo che si dedicava davvero a individuare e far emergere le qualità della giovane promessa.

Flavio Cabrini Giugno 9, 2008 alle 14:35

L’importanza di creare armonia attraverso una buona qualità di rapporti interpersonali all’interno di un’azienda è ancora più chiara se si definisce cos’è un vero gruppo.

Il vero gruppo potrebbe essere definito come un gruppo che abbia:
(a) una meta positiva e costruttiva,
(b) un management abile e attivo che lavora unicamente al servizio del gruppo, per
conseguire la meta, e
(c) membri partecipanti, che contribuiscono pienamente al gruppo e alle sue mete, e che
a loro volta ricevono contribuzione da parte del gruppo.

Il vero gruppo possiede un’elevata armonia e condivisione tra meta e management, management e gruppo, gruppo e meta. Questo obbiettivo è realizzato attraverso la reiterata volontà espressa di migliorare progressivamente il livello dei rapporti interpersonali all’interno del gruppo. In un tale gruppo i problemi che il management si trova ad incontrare sono veramente limitati alle pure barriere o difficoltà operative. Tali problemi sono normali e riguardano principalmente lo stabilire i piani per il conseguimento degli obbiettivi, di indicare e delineare i piani per risolvere le problematiche che si incontrano sul cammino e di coordinare l’esecuzione di tali piani.

E’ da notare qui che, a causa dell’elevata condizione di cui godono i rapporti interpersonali in azienda, il management si arricchisce dei consigli di coloro che hanno intimamente a che fare con i problemi e viene informato immediatamente delle decisioni non funzionali che potrebbe formulare. Non è da sottovalutare poi il fatto che in una tale condizione il management non ha il compito snervante di appianare i costanti conflitti e le confusioni che sono la rovina di ogni pseudo-gruppo.

Un vero gruppo si allontana dall’essere un vero gruppo nella misura in cui esistono disarmonie tra mete e management, management e gruppo, gruppo e mete. Una grave perversione o rottura completa dei rapporti interpersonali all’interno dell’azienda produrrebbe l’immediata rovina del management. Nella misura in cui l’autoritarismo diventa il sistema di gestione delle risorse umane o nella misura in cui gli interlocutori naturali di un membro del gruppo diventano difficilmente raggiungibili o addirittura non contattabili, il gruppo, che ha smesso di essere da tempo un vero gruppo, si trasforma gradualmente in un insieme di individui che rimangono in relazione fintanto che gli interessi personali rendono utile il contatto.

È decisamente nell’interesse del management avere un gruppo che sia il più vero possibile. La cosa probabilmente più stupida che un management possa fare è quella di rifiutarsi di permettere a un gruppo di diventare un vero gruppo. Questo, purtroppo, viene realizzato nella misura in cui gli strumenti di condivisione e di inclusione del gruppo cominciano a pervertirsi o a cadere in disuso. Tali strumenti sono le riunioni, gli incontri individuali o di gruppo a fini motivazionali, gli incontri di informazione e prevenzione di problemi, pubblicazioni informative divulgate tra il personale ecc. Ad esempio creare riunioni o momenti di incontro in cui si discutono solamente problemi o conflitti, produce a lungo andare un allontanamento dalle riunioni da parte dei singoli membri del gruppo che tenderanno se possibile a disertarle. Un altro esempio è quando il management per ragioni più o meno sensate decide di trattenere informazioni e di non rendere partecipi a vari livelli i propri collaboratori riguardo alle scelte del gruppo, alle sue strategie o ai conseguimenti raggiunti. Un tale management sta di fatto rendendo il gruppo un insieme di singoli individui che operano su “isole separate”. Un tale management arriva a pensare che attraverso dei momenti conviviali incidentalmente creati (viene in mente la classica “pizzata”) essi possano creare nel gruppo la coesione o l’amalgama necessaria all’azienda per incrementare l’efficacia. Una tale miopia è sconcertante poiché se solo si rendessero conto che le relativamente poche persone che partecipano a tali iniziative (nonostante gli sforzi di coinvolgere tutti) parteciperanno alla “serata” dividendosi naturalmente in piccoli gruppi del loro stesso settore riproducendo in un luogo di ristorazione una copia fedele di quanto avviene in azienda. Amministrativi con amministrativi, commerciali con commerciali, produzione con produzione. Tante isole separate. Che tristezza!

Il gruppo, se i suoi individui sono dotati di una buona parte relazionale, cercherà di diventare un gruppo nel vero senso della parola. Farà sforzi per coinvolgere ed innalzare il livello degli altri collaboratori. Solo un management poco lungimirante cercherebbe di dissuadere tale iniziative.

Un management poco illuminato porterebbe le linee di comunicazione tra i vari collaboratori dell’azienda ad essere interrotte in questo modo: (a) permettendo che su di esse fluisca una tale quantità di notizie negative, pettegolezzi e critiche che il gruppo alla fine le chiuderà o eviterà i momenti di contatto, (b) intasando le linee con eccessive quantità di traffico. Per esempio a volte il manager vuole essere informato di ogni singola cosa che accade o sistema le cose in maniera tale che ogni convalida di ordini, ogni decisione di acquisto, ogni minimo cambiamento passi prima da lui e (c) usando quasi solo l’autorità nell’ottenere l’esecuzione. Per esempio non motivando la gran parte delle proprie decisioni attraverso la condivisione con il resto del gruppo ma facendole cadere dall’alto.

In un vero gruppo, le comunicazioni e le linee di comunicazione tra le persone e le varie parti dell’azienda dovrebbero essere considerate sacre, e di fatto lo sono. Non vanno usate come canali per trasmettere cattiveria, pettegolezzi o critiche. Non devono essere pervertite o alterate, non devono essere intasate con molte parole e poco significato. Non devono essere interrotte. Devono essere create ogniqualvolta una linea di comunicazione sembra voler esistere o è necessaria.

Per mettere ordine al proprio interno, si consiglia a qualsiasi azienda di attuare i seguenti principi:

1. Prendere bene in esame i propri ideali e la propria etica. Questa è la sfera d’azione della creazione delle mete.

2. Prendere bene in esame la propria idea di base. Questa è la sfera d’azione del management, della sua pianificazione e della sua coordinazione.

3. Prendere bene in esame l’ambito della propria esecuzione. Questa è la sfera d’azione del personale e dei membri del gruppo a livello individuale.

4. Creare uno schema di gestione generale ed elastico; adottare uno statuto, scegliere in pieno accordo i propri funzionari; attenersi alla propria struttura costituita e seguire chi l’ha creata.

5. Propendere sempre in direzione di mete creative e costruttive, e promuovere le imprese del gruppo in modo creativo e costruttivo anziché in termini di “risparmio”, di “emergenze arbitrarie” e di pianificazione e azioni distruttive.

6. Scegliere, per le posizioni di fiducia, personale dotato di un elevato livello di qualità di rapporti interpersonali che fa piani creativi e costruttivi che hanno per oggetto l’espansione anziché le “emergenze”. Tenere lontani dalle cariche ufficiali i menagramo che pervertono o censurano in modo selettivo le comunicazioni o che interrompono le linee per acquistare potere, che sono solo attenti alle realtà opportunistiche ma funeste e che, pervertendo l’affinità, dimostrano di non provare nessun interesse sincero per le persone.

7. Allacciare un gran numero di linee di comunicazione per soddisfare le varie necessità delle persone, mantenere le comunicazioni concise, mantenere le comunicazioni oneste in tutto e per tutto, e non rizzare nessun paravento fra l’azienda e i suoi clienti.

8. Tendere alla creazione di feeling all’interno del gruppo e tra gruppo e management. Creare e mantenere alta la sintonia con il resto del mercato.

9. Creare una realtà alta ed etica di un ambiente migliore e poi metterla in atto. Rendere l’azienda un modello di tale mondo migliore.

10. Agire con perseveranza per innalzare sempre più il livello del clima aziendale. Puntare con perseveranza al più alto livello possibile.

11. Far sì che l’organizzazione si renda da sé un modello di efficienza in tutti i suoi reparti e che ogni membro del gruppo sia estremamente fiero delle proprie prestazioni.

12. Operare in base al principio che il fallimento – in qualsiasi reparto – di un individuo o di un sottogruppo minaccia, per contagio, la sopravvivenza di tutti.

13. Capire a fondo il principio secondo il quale la quantità di positività presente in una azienda determina materialmente la longevità, la grandezza e la generale sopravvivenza del gruppo stesso e dei suoi membri, e che la quantità di disarmonie presenti nel gruppo determina quanto vicino esso è alla morte.

Un buon management dovrebbe di tanto in tanto passare attraverso questi punti nella sua azienda e verificarne lo stato dell’arte.

Flavio Cabrini

Flavio Cabrini Giugno 24, 2008 alle 15:23

Troppo spesso la PMI italiana paga un prezzo alto per la mancanza di know how organizzativo. Troppo frequentemente, a causa di una cultura peculiare italiana (l’azienda a carattere famigliare) essa si ritrova ad applicare i sistemi organizzativi basati su un concetto artigianale ad una struttura che è ormai cresciuta e questo approccio produce una quantità di sforzi e di energia inutile e dispendiosa. In parole povere fino a che l’azienda era composta da cinque o sei elementi era sufficiente utilizzare il criterio del “buon padre di famiglia” che, attraverso poche regole e un occhio sempre vigile, era in grado di avere il polso della situazione e ciò gli permetteva di avere i tempi e i modi per intervenire nel risolvere qualsiasi difformità notata.

Con l’evolversi ed il crescere dell’azienda non è cresciuto altrettanto il know how necessario a creare una “spina dorsale” stabile e forte che permettesse all’azienda, ormai avviata ad una logica più industriale, di cominciare ad utilizzare gli strumenti adatti. A questo va aggiunto che gran parte del Know How disponibile è espressamente indirizzato alle grandi imprese e difficilmente codificabile ad un livello più basso.

E qui l’imprenditore giunge al grande bivio. La scelta era tra il rimpianto del passato o la sofferenza del futuro.

Ho lo si sentiva affermare con rammarico di rimpiangere i bei tempi in cui si era cinque o sei, si stava tranquilli e si guadagnava di più, oppure lo si sente affermare che le persone devono essere dominate e che sono sorgente di grande preoccupazione e demotivazione (oltre che di costi), ma che sono un male necessario a mantenere in vita la “sua creatura”.

Ecco allora comparire sulla scena della PMI italiana una delle leggi di management più crudeli e spietate: LA LEGGE DEL MINIMO IRRIDUCIBILE.

Questa legge afferma che:
1. un qualsiasi ruolo che non sia adeguatamente formato e preparato a svolgere con competenza le proprie funzioni tenderà a ridurre la propria operatività al minimo irriducibile.
2. ridurrà drasticamente la caratteristiche qualitative del risultato prodotto causando nel medio e lungo periodo un impoverimento finanziario.

Il modo in cui si manifesta la legge suddetta è facilmente comprensibile se lo si applica ad alcune funzioni aziendali. Ad esempio un Responsabile Amministrativo che operasse al minimo irriducibile emetterebbe le fatture di vendita, terrebbe i libri dei conti e registrerebbe le fatture di acquisto ma nessuna possibilità di avere dati finanziari in tempo utile o in una qualsiasi forma usabile dal management o nessuna informazione preventiva su come evitare sprechi giusto per citarne alcuni. Certo se non emettesse o registrasse nemmeno le fatture qualcuno potrebbe pensare che non sta lavorando affatto!

Un cuoco che operasse al minimo irriducibile cucinerebbe semplicemente del cibo ma nessuna creatività o iniziativa. Certo se non facesse neanche quello ci si accorgerebbe immediatamente della sua completa estraneità al buon funzionamento del ristorante.

Un venditore che operasse secondo questa legge diventerebbe il classico raccoglitore di ordini così “adorato” (in senso ironico) da tutti gli Imprenditori e Direttori Vendite. Quello che vende solo se il cliente vuole comprare. Capite bene che se operasse al di sotto di questo livello diventerebbe eclatante la sua inutilità totale.

Ogni ruolo e funzione in una azienda è regolato da questa legge. Non ci sono eccezioni.

Quando un manager non conosce i suoi strumenti e non si attiva per formarsi e diventare più bravo e competente comincerà ad operare al minimo irriducibile limitandosi a dare ordini e direttive. Arrabbiandosi quando le cose non vanno per il verso giusto e lamentandosi ad ogni pie sospinto delle scarse performance dei propri collaboratori.

Cosa dire delle riunioni di un tale manager? Un dirigente che operi al minimo irriducibile usa lo strumento della riunione principalmente quando ci sono dei problemi già conclamati, non certo per prevenirli od evitarli. Le sue riunioni durano ere geologiche e le soluzioni ai problemi, essendosi stancate prima dei partecipanti alla riunione stessa, se ne sono andate molto tempo prima che tale riunione si completasse. Le sue riunioni sono un costante discutere nella rincorsa della ragione che prevale sul torto.

Ecco che un manager che operi sulla base del minimo irriducibile deve cominciare a conoscere e formarsi sul suo ruolo in maniera tale che le sue azioni siano sempre più conformi ad una competenza organizzativa che persegue all’eccellenza. La sua capacità di gestire nelle modalità efficaci e motivanti sarà di grande aiuto alla realizzazioni degli obiettivi aziendali.

sonia liberati Ottobre 29, 2008 alle 23:32

Ciao
Interessanti le vostre discussioni
ma siete tornati dalle vacanze?
Intanto, vista la vostra assenza, sono andate in giro nel web e ho trovato http://www.lavoratorio.it un quotidiano online sul mercato del lavoro veramente chiaro e interessante.
Spero di risentirvi presto
Sonia

I commenti per questo articolo sono stati chiusi.

Articolo precedente:

Articolo successivo: