In questi giorni sui social network c’è tutta l’ira dei lettori contro i giornali italiani che sono cascati in questa bufala (una cinese che accetterebbe amanti per farsi spesare il viaggio; ma era in realtà una storia fasulla, per pubblicizzare un’app).
Va detto che in questo caso le principali testate online non ci sono cascate. Però in passato è capitato a tutti e in particolare nelle sezioni “leggere” dei siti web (i colonnini). I lettori hanno ragione ad arrabbiarsi quando una testata pubblica una notizia falsa, perché così fa disinformazione venendo mendo al proprio ruolo e mandato. E tuttavia la situazione è più complicata di così.
Facciamo un passo indietro: la qualità dell’informazione online sta migliorando o no? A me sembra di sì, generalmente. Soprattutto per gli articoli di tecnologia: quando ho cominciato, e ancora fino a pochi anni fa, si leggevano cose incredibili su virus e peer to peer, spesso diramate da agenzie di stampa dove chi scriveva probabilmente non sapeva nemmeno come accendere un computer.
Sarà capitato a tanti come me, ragazzi che di fronte a quelli errori provavano a segnalarlo alle redazioni con cui collaboravano e incontravano spesso il vecchio di turno che diceva che no, non erano errori, ma semplificazioni per farsi capire. E noi testardi, non ci siamo fatti convincere che scrivere “sito peer to peer” o che a fare Linux è stato un manipolo di pirati non sono semplificazioni ma cattiva informazione. Adesso gli orrori sono finiti, o sono diventati molto rari, a conferma che avevamo ragione noi. Che è successo, nel frattempo? Pensionamenti, nuove leve che sapevano distinguere un computer da una lavastoviglie e via dicendo. Fin qui con il giornalismo tecnologico. Poi però sono arrivati i social media e l’importanza di far circolare articoli virali, tanti in poco tempo. “Virale” più “tanti” più “in poco tempo”: gli ingredienti completi per la bufala. Non c’è niente di sbagliato nel pubblicare articoli leggeri, di richiamo. Il problema è che questo meccanismo di lavoro produce bufale. Come si risolve? Di fondo, c’è che le testate online non hanno le risorse di cui avrebbero bisogno per fare il lavoro al meglio, verificare tutto, in tempi rapidi eccetera. Se non siete mai entrati in una redazione online forse non lo sapete e avete ancora quella visione romantica del giornalismo in cui i giornalisti si coccolano un articolo per un giorno intero (almeno), come visto in tanti film. Ebbene, no: la redazione online è più simile a una catena di montaggio, con turni di notte, 24 ore al giorno.
E’ un problema economico, insomma. I giornalisti sanno come si verifica una notizia. Basterebbe scrivere “bufala” o “hoax” su Google con la parola chiave di quella storia, per trovare la verità (dato che internet ha questo potere ambivalente di diramare bufale ma anche disinnescarle). Ma chi deve pubblicare le notizie in pochi minuti (con i tempi- sconosciuti al lettore- della compilazione dei campi della piattaforma di publishing, i tag, le foto, il seo eccetera) non ha il tempo per fare quella verifica, perché a lavorarci sono troppo poche persone.
Forse il problema si curerà da solo, quando gli economics dell’editoria spingeranno a spostare risorse dalla carta all’online, gradualmente. Nel frattempo, non ci sono soluzioni ottimali.
Del resto, lancio una provocazione: siete disposti a dare 1 euro all’anno alla vostra rivista online preferita? Le maggiori potrebbero aumentare di colpo il proprio fatturato di milioni di euro, assumere, investire in contenuti.
Ecco, se aveste la garanzia che il ricavato andasse sui contenuti, dareste quel misero euro l’anno in donazione? Se la risposta è no, è questa la qualità che meritate (per ora).
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