Un drone per tutti

di alex il 22 Agosto 2013

Guardando di notte in cielo, a Lecce, qualcuno ha gridato all’ufo, quest’estate. Ma era soltanto un drone volante che serviva per le riprese del prossimo film di Ferzan Ozpetek, “Allacciate le cinture”. In Italia non ci siamo ancora abituati, ma in molti Paesi è già cominciata l’invasione. Piccoli robottini volanti cominciano a vedersi nei posti più impensati. Tra le strade a portare i pacchi, tra i tavoli a servire le pizze; nei campi per aiutare gli agricoltori e sugli stadi a supporto di riprese televisive. E si moltiplicano anche i casi di giornalisti e attivisti che hanno usato i droni per svelare illeciti o per riprendere proteste anti governative.

Insomma, i piccoli droni low cost stanno entrando in molte attività professionali e civili, grazie a recenti evoluzioni tecnologiche. Spartiscono solo il nome con i propri parenti militari che costano milioni di dollari, usati in guerra ma anche per varie operazioni di sicurezza (contro il contrabbando marittimo, per esempio).

I piccoli droni hanno altre ambizioni: a loro non interessano le grandi imprese, ma penetrare nelle nostre vite con discrezione. Perché costano poco, da 300 euro a poche migliaia di dollari, e pesano qualche centinaia di grammi o pochi chili.

«I prezzi si dimezzano ogni due anni mentre le capacità di queste macchine raddoppiano», dice a “l’Espresso” Michael Toscano, presidente di Ausvi, la principale associazione per lo studio e lo sviluppo di droni (tecnicamente, questi sono “Unmanned vehicle systems”, cioè, alla lettera, “veicoli senza persone a bordo”). «Prepariamoci all’enorme rivoluzione dei droni, destinati a diffondersi come strumenti commerciali», aggiunge Jerry Lemieux, presidente della Unmanned vehicle university, la prima università che forma esperti in questo campo. Da quest’anno ha anche un campus fisico, a Phoenix, con mille studenti, mentre fino al 2012 era solo online. Ausvi prevede infatti che i droni commerciali creeranno 70 mila posti di lavoro per un giro d’affari di 13 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, negli Usa.

«E’ successo che ora è possibile produrre veicoli più piccoli con sensori molto più economici e miniaturizzati, adatti a un uso civile- spiega Lemieux. Prima c’erano solo sensori militari molto potenti che servivano a inquadrare bersagli a grandissime distanze dall’alto. Cosa che però non serve per gli usi commerciali». «E’ un’evoluzione che ha accelerato nell’ultimo anno. Ora possiamo montare sensori di ogni tipo su questi apparecchi. L’equipaggiamento di base è una videocamera ad alta definizione e il gps, ma è possibile avere anche sensori infrarossi, termici e che fanno uno scansione dello spettro elettromagnetico, per esempio». Si parte da 300 euro con l’Ar.Drone 2.0 di Parrot, 800 grammi di velivolo che possiamo controllare tramite applicazioni per cellulari smartphone (ce ne sono diverse, per vari scopi: molte servono a giocare, ma ce n’è anche una per girare un film). Ha un massimo di 35 minuti di autonomia. Vogliamo un drone più stabile e più manovrabile, che possa montare videocamere professionali (più pesanti)? Si sale a 2-7 chili di velivolo e a 15-20 mila euro, ma c’è anche qui un’alternativa low cost: il cinese X650, che con i suoi 3 mila euro di prezzo batte i concorrenti europei e americani. Se ci interessa maggiore autonomia, fino a 60-90 minuti e 45 chilometri di distanza di volo, c’è il Team Black Sheep Zephyr (1500 euro). Un prodotto analogo, ma molto più costoso (27 mila euro) è il Raven. Quelli che arrivano a 20 ore di autonomia (ScanEagle, Aerosonde) per ora sono alla portata solo delle aziende o di persone molto benestanti, visto il costo che va dagli 80 mila ai 200 mila euro.

 

Ma siamo solo agli inizi di un fenomeno, «mi aspetto il boom del mercato nel 2014, quando gli Stati Uniti daranno il via libera a usi commerciali dei droni, ora già possibili in Europa, Australia, Giappone», dice Lemieux. I prezzi sono destinati ad andare in picchiata.

Per capire quale invasione di droni ci attende, basta vedere come già li usano nel mondo. Per fare film, documentari, riprese televisive di eventi in diretta, ad esempio. «Uno dei primissimi casi è un documentario della Nbc: grazie a droni ha potuto filmare i movimenti migratori degli animali in Kenya», dice Lemieux. L’Australia è all’avanguardia nell’uso di droni per riprendere eventi sportivi. Lo fa Fox Sports da fine 2012 per offrire inquadrature spettacolari dall’alto. L’australiana PixelCasa fa qualcosa di diverso: crea riprese tridimensionali di partite (tennis, ad esempio), registrandole da ogni angolazione grazie a numerosi droni, e poi vende i video agli utenti. Il risultato è un “tour virtuale” nella partita: possiamo variare la visuale a 360 gradi, zoomare a piacimento. E’ possibile prevedere che ben presto questa possibilità sarà offerta anche da emittenti tivù, in diretta, su smart tivù interattive e connesse a internet.

«I droni cambieranno il modo di fare giornalismo, da parte di professionisti o semplici cittadini», aggiunge Taylor Owen, research director al Tow Center for Digital Journalism della Columbia University, una delle prime università al mondo ad avviare un programma di studi dedicato all’uso di droni nella professione giornalistica.

La Cbs in Australia ne ha usati alcuni per fare riprese all’interno del relitto della Costa Concordia e per rivelare le condizioni degli immigrati in un campo di detenzione a Christmas Island (dove le autorità avevano vietato ai giornalisti di entrare). AirPano, un gruppo di fotografi russi, ha ripreso le proteste a Mosca per le frodi elettorali del 2011. I droni hanno permesso un’inquadratura panoramica che a colpo d’occhio rivelava quanto fosse estesa la folla nelle strade. Un attivista anonimo ha usato un piccolo drone per riprendere le proteste di Varsavia e ha caricato il video su Youtube, nel 2011. Un gruppo di semplici cittadini (“citizen journalist”) hanno fatto lo stesso per le proteste in Argentina contro il governo, nel 2012. Il giornalista Tim Pool ha fatto così un reportage in diretta di Occupy Wall Street a New York, aggirando i blocchi della polizia. Una persona con l’hobby dei droni ha ripreso nel 2012 a Dallas lo sversamento di sostanze inquinanti in un fiume da parte di una fabbrica, che di conseguenza è stata chiusa dalle autorità.  «Questi apparecchi sono alla portata anche di redazioni squattrinate, permettono di registrare in aree difficili da raggiungere e di raccogliere dati utili per inchieste, senza mettere a rischio l’incolumità del reporter», dice Owen.

I droni possono portare anche oggetti: ad Alvernia (in Francia) ce ne sono venti che consegnano pacchi e posta. La catena Domino’s nel Regno Unito li sta sperimentando per le pizze a domicilio. A Philadelphia un ragazzo di 29 anni quest’estate ha aperto la prima lavanderia dove i droni consegnano a domicilio i vestiti.

I mini droni più avanzati sono destinati però a girare nei campi, «ce ne sono già 10 mila in Giappone, che è all’avanguardia per l’agricoltura di precisione», dice Al Palmer, docente di “Unmanned aircraft systems” all’università del North Dakota. «Analizzando lo spettro elettromagnetico con sensori e specifici algoritmi software, riescono a capire le condizioni del terreno e delle piante. Così l’agricoltore può capire con esattezza dove irrigare e dove usare fertilizzanti o pesticidi», aggiunge.

Il prossimo passo: «quando arriveranno droni economici dotati di molte ore di autonomia, tanti li useranno a mo’ di videocamera mobile di sicurezza. Per la propria casa e per seguire i figli a scuola», prevede Asif Anwar, dell’osservatorio Strategy Analytics. «Non ci saranno più limiti alla violazione della nostra intimità», avverte Norberto Patrignani, docente di Computer Ethics al Politecnico di Torino. Già negli Usa ci sono i primi casi di molestie tramite drone: è avvenuto a maggio, a Seattle. Una donna veniva spiata nel proprio giardino e la polizia le ha detto che nessuna legge lo vietava. «La tecnologia dei droni migliorerà la nostra conoscenza del mondo ma anche rischia di renderci troppo trasparenti agli occhi altrui. E purtroppo non ci sono ancora leggi per discriminare gli usi buoni da quelli cattivi», dice Patrignani.

 

(Uscito sull’espresso a luglio 2013)

 

{ 4 commenti }

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